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Il corpo come luogo pubblico

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Scriveva ieri Rodotà su Repubblica:

Ciò di cui si discute è il rapporto della persona con il suo corpo, dunque l’ area più intima e segreta dell’ esistenza, alla quale la politica e la legge dovrebbero accostarsi con rispetto e prudenza, consapevoli che vi sono aspetti della vita che la Costituzione ha messo al riparo da ogni intervento esterno, che ha voluto intoccabili.

Negli ultimi anni, invece, in Italia si è venuto consolidando un orientamento diverso, che descriverei ricorrendo al titolo di un libro di Barbara Duden: Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’ abuso del concetto di vita. Del corpo della donna il legislatore si è pesantemente impadronito con l’ autoritaria e proibizionista legge sulla procreazione assistita, negando la libertà femminile e creando davvero quel far west legislativo che si diceva di voler combattere. Oggi, infatti, migliaia di donne emigrano ogni anno in altri paesi per sfuggire agli assurdi divieti di quella legge, obbligate a pesanti costi finanziari e umani, mettendo pure a rischio la salute loro e dei figli che nasceranno. Ora si vuole far diventare “pubblico” il corpo di tutti noi. Il rifiuto di cure, diritto ovunque riconosciuto e caposaldo della stessa soggettività morale, viene sostanzialmente negato dalla proposta della maggioranza. La sorte del corpo nel tempo del morire è sottratta alla libera decisione dell’ interessato, viene affidata ad un medico investito del ruolo di funzionario di uno Stato etico che, appunto, ha proceduto alla “pubblicizzazione” del corpo. Il testamento biologico diviene un simulacro vuoto, una formula che contiene il suo opposto.



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